La rivalutazione beni di impresa

Roma – Il tema della rivalutazione dei beni di impresa è un settore di grande interesse soprattutto in questo momento emergenziale. Capire bene come procedere e soprattutto saper interpretare le norme che si susseguono ormai da mesi è la mission dello Studio Legale Antonaci di Roma che nel merito ha effettuato una ricerca cercando di capire bene i riferimenti di legge e le possibilità applicative.

L’art. 110 del D.L. n.104 del 14 agosto 2020 (c.d. Decreto Agosto) ha riaperto la possibilità di rivalutare i beni d’impresa, offrendo la possibilità alle aziende di ricapitalizzare l’impresa riconoscendo anche fiscalmente il maggior valore attraverso il versamento di un’imposta sostitutiva.

La rivalutazione monetaria prevista dall’art. 110 del D.L. n. 104/2020 (c.d. Decreto Agosto) prevede due tipologie di rivalutazione: la rivalutazione fiscale, con il pagamento dell’imposta sostitutiva del 3% e la collegata iscrizione della “riserva di rivalutazione” tra le voci di “patrimonio netto”; la rivalutazione solamente civilistica, non assoggettata all’imposta sostitutiva del 3%, e la collegata iscrizione della riserva di rivalutazione tra le voci di patrimonio netto.

La rivalutazione deve avvenire nel bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2020 per i soggetti c.d. solari.

  1. AMBITO SOGGETTIVO

La rivalutazione è accessibile sia alle società di capitali, sia alle società di persone e alle imprese individuali, a prescindere dal regime contabile adottato (ordinario o semplificato).

Il comma 1 cita le società e gli enti commerciali di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), del Tuir, ma non vi sono dubbi che la disciplina è applicabile a tutte le tipologie d’impresa operanti in tali settori, in virtù del richiamo (presente al comma 7) all’articolo 15 della legge 342/2000: tale disposizione estende l’applicabilità della rivalutazione alle imprese individuali, alle società di persone, agli enti pubblici e privati di cui alle lettere c) e d) dell’articolo 73 Tuir e alle persone fisiche non residenti che esercitano attività commerciali nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni.

Come in passato, la rivalutazione 2020 potrà essere effettuata anche dalle società in liquidazione volontaria. Per ottenerne i benefici fiscali, occorre però che la alienazione dei cespiti, e dunque la chiusura della procedura, sia rinviata al 2024, anno a decorrere dal quale la rivalutazione fiscale assume efficacia per le vendite.

Nell’ipotesi di affitto o usufrutto di azienda, ove non sia stata contrattualmente prevista la deroga alle disposizioni dell’art. 2561 c.c. concernenti l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili, gli ammortamenti vengono calcolati e dedotti dall’affittuario o usufruttuario, il quale potrà pertanto effettuare la rivalutazione.

Al termine dell’affitto o dell’usufrutto, l’azienda sarà trasferita al concedente, comprensiva dei beni rivalutati e della relativa riserva di rivalutazione, sempre che quest’ultima non sia stata già utilizzata per copertura di perdite o distribuita.

Nell’ipotesi in cui, invece, le parti, in deroga all’art. 2561 del c.c., abbiano previsto che il concedente continuerà a calcolare gli ammortamenti, la rivalutazione potrà essere effettuata solo da quest’ultimo (circolare n. 18/E del 13 giugno 2006).

  1. AMBITO OGGETTIVO

Oggetto del provvedimento sono i beni appartenenti all’impresa, siano essi materiali o immateriali, con esclusione di quelli alla cui produzione e al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa, rivalutabili distintamente anche se appartenenti alla medesima categoria omogenea. Per quanto riguarda le immobilizzazioni immateriali si intendono rivalutabili solo quelle che godono della tutela giuridica (marchi, brevetti, licenze ecc.). Per le altre immobilizzazioni immateriali (costi pluriennali, avviamento ecc.) è concesso il solo rialign dei valori fiscali con i valori civilistici.

La rivalutazione è applicabile anche ai macchinari, impianti ed attrezzature completamente ammortizzati e alle immobilizzazioni in corso, risultanti dall’attivo dello stato patrimoniale dell’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2019.

I beni detenuti in leasing possono essere rivalutati dall’utilizzatore solo se è stato esercitato il diritto di riscatto entro l’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2019, considerato che possono essere rivalutati i soli beni in proprietà (cfr. art. 2, comma 2, del D.M. 13 aprile 2001, n. 162).

La norma consente di procedere alla rivalutazione dei beni diversi da quelli alla cui produzione e al cui scambio è diretta l’attività e delle partecipazioni in società controllate e collegate, costituenti immobilizzazioni finanziarie, iscritti nel bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2019 e tuttora presenti nel bilancio successivo.

Quindi, i beni devono risultare, con la destinazione richiesta dalla legge, nel bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2019, oltre che in quello in cui si eseguirà la rivalutazione (31 dicembre 2020).

Le società possono rivalutare  – ad esempio – i seguenti beni:

1) terreni (esclusi dall’ammortamento fiscale);

2) fabbricati;

3) impianti;

4) macchinari;

5) attrezzature;

6) impianti termali;

7) marchi;

8) brevetti;

9) partecipazioni, costituenti immobilizzazioni finanziarie, in società controllate e collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c., costituenti immobilizzazioni finanziarie.

Non possono, invece, formare oggetto di rivalutazione (circolare n. 14/E del 27 aprile 2017):

  • beni materiali e immateriali alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa (materie prime, merci, prodotti finiti, etc.). Si chiarisce, al riguardo, come – per ragioni di ordine logico sistematico e in coerenza con quanto previsto nelle precedenti leggi di rivalutazione – l’esclusione dalla disciplina riguardi tutti i beni merce, nonostante la norma si limiti a prevedere l’esclusione solo con riferimento alla categoria degli immobili merce;
  • l’avviamento, i costi pluriennali, i beni monetari (denaro, crediti, obbligazioni, comprese quelle convertibili, etc.);
  • le partecipazioni che non siano di controllo o di collegamento ai sensi dell’ 2359 del Codice civile;
  • le partecipazioni che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, ancorché considerate di controllo o di collegamento ai sensi del citato  2359 del Codice civile.

Le immobilizzazioni immateriali (es.: marchi, brevetti) – anche se non più iscritti nello stato patrimoniale in quanto interamente ammortizzati – possono essere “gratuitamente rivalutate”, se sono ancora tutelate ai sensi delle vigenti disposizioni normative.

La rivalutazione è applicabile anche ai beni completamente ammortizzati e alle immobilizzazioni in corso, risultanti dall’attivo dello stato patrimoniale del bilancio relativo all’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2019.

I beni detenuti in leasing possono essere rivalutati dall’utilizzatore solo se è stato esercitato il diritto di riscatto entro l’esercizio in corso alla data del 31 dicembre 2019, considerato che possono essere rivalutati i soli beni in proprietà (cfr. art. 2, comma 3, del D.M. 13 aprile 2001, n. 162).

Per i beni provenienti da società incorporate (art. 172 del T.U.I.R.) o scisse (art. 173 del T.U.I.R.), e per quelli ricevuti a seguito di conferimento di azienda  si ha riguardo alla data di acquisizione della società dante causa. Ad esempio, in presenza di fusione avvenuta nel corso dell’esercizio 2020, l’incorporante potrà rivalutare beni che erano già posseduti e classificati dall’incorporata secondo quanto richiesto dalla legge nel bilancio dell’incorporata al 31 dicembre 2019.

  1. PROCEDURA
  2. Riconoscimento e decorrenza dei maggiori valori

Una delle più rilevanti novità della rivalutazione 2020 è costituita dall’abbandono del vincolo delle categorie omogenee. Sarà dunque possibile, all’interno di una determinata categoria di beni mobili, ad esempio il gruppo “impianti e macchinari anno 2014”, comprendente cinque distinti cespiti, rivalutare un bene e lasciare inalterato il valore degli altri quattro; oppure rivalutare un bene solo civilisticamente, rivalutarne un altro anche fiscalmente, e non rivalutare gli altri tre, e così via.

Il richiamo al singolo bene fa ora ritenere rivalutabile anche solo una parte di un pacchetto azionario detenuto in una stessa società partecipata. Ad esempio, se si posseggono 10.000 azioni di una S.p.A., di cui 6.000 saranno mantenute a lungo termine e le restanti 4.000 verranno cedute con forte plusvalenza (dal 2024 in poi), sarà possibile affrancare solo queste ultime col pagamento del 3%. L’applicazione del LIFO nella valorizzazione delle azioni dovrebbe poi garantire che, al momento della cessione, si possa scaricare prioritariamente il costo fiscale di quelle rivalutate e dunque ottenere l’effetto di utilizzare la rivalutazione per ridurre la plusvalenza imponibile.

Per i beni immobili, infine, la norma precedente individuava cinque distinte categorie omogenee: aree fabbricabili con la stessa destinazione urbanistica, aree non fabbricabili, fabbricati non strumentali, fabbricati strumentali per destinazione e infine fabbricati strumentali per natura. I fabbricati che sono, al tempo stesso, strumentali per natura (ad esempio, uffici di categoria A/10) e per destinazione (ad esempio, la sede amministrativa della società) dovevano ricomprendersi in quest’ultima categoria omogenea. Ciò comportava, ad esempio, che qualora una società di gestione immobiliare intendesse rivalutare un fabbricato strumentale per natura (ufficio concesso in locazione a terzi), era obbligata ad adeguare il valore di tutti i fabbricati strumentali per natura posseduti. Doveva inoltre essere adottato un criterio valutativo omogeneo per tutti i beni della categoria.

Con la eliminazione del vincolo delle categorie omogenee, le imprese che detengono diversi immobili (iscritti nelle immobilizzazioni, dato che i beni-merce non sono mai rivalutabili) compresi nella stessa categoria potranno rivalutare solo alcuni di essi, in particolare tenendo conto di una loro possibile dismissione dal 2024.

La rivalutazione potrà effettuarsi anche solo ai fini contabili-civilistici.

L’operazione di rivalutazione produce i suoi effetti fiscali già a partire dall’esercizio successivo a quello in cui viene effettuata; i maggiori valori iscritti a bilancio pertanto rilevano fiscalmente già dal 2021 e quindi considerati in dichiarazione Mod. Redditi 2022.

Gli ammortamenti sugli importi rivalutati saranno deducibili dall’esercizio successivo a quello della rivalutazione (cioè dal 2021) e dunque già dal primo periodo di imposta in cui detti ammortamenti vengono rilevati in bilancio, senza alcun differimento temporale

Come già accennato, dal punto di vista fiscale l’art. 110 prevede un affrancamento dei maggiori valori iscritti a bilancio permettendo al soggetto passivo di scontare un’imposta sostitutiva pari al 3% con versamento in tre rate annuali (2021-2022-2023). La scadenza della prima rata coincide con il termine previsto per il saldo delle imposte sui redditi riferibili all’esercizio di effettuazione dell’operazione (rivalutazione al 31 dicembre 2020, saldo + prima rata di affrancamento luglio 2021). La scadenza delle successive rate corrisponde al termine per il saldo delle imposte sui redditi degli esercizi successivi.

L’impostata sostitutiva dovuta deve essere contabilizzata in bilancio in diminuzione del saldo attivo della rivalutazione. In altre parole, l’imposta sostitutiva non deve essere addebitata al conto economico, ma portata in diminuzione della speciale riserva di rivalutazione designata con riferimento alla presente legge.

  1. Saldo attivo di rivalutazione

Il saldo attivo di rivalutazione, qualora si opti per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori, si iscrive a patrimonio netto e rappresenta una riserva in sospensione d’imposta.

La riserva di rivalutazione in sospensione d’imposta può essere:

1) imputata ad aumento di capitale;

2) utilizzata a copertura di perdite;

3) distribuita ai soci;

4) altri casi.

In contabilità la scelta di riconoscere fiscalmente i maggiori valori si riflette iscrivendo al posto del fondo imposte differite un debito per imposta sostitutiva pari al 3% della rivalutazione.

L’opzione per il riconoscimento fiscale della rivalutazione con il pagamento dell’imposta sostitutiva al 3%, comporta che la posta di patrimonio netto che si viene a formare costituisce una riserva in sospensione di imposta.

In linea generale le riserve in sospensione d’imposta sono poste di patrimonio netto derivanti da incrementi di ricchezza per le quali, in virtù di una disposizione di legge, la tassazione viene rinviata al momento in cui si verificano determinati presupposti che comportano il venir meno del regime di sospensione.

Quanto sopra significa che l’imposta sostitutiva pagata per la rivalutazione dei beni è un’imposizione provvisoria, valida fin tanto che tale saldo non viene distribuito ai soci sotto forma di dividendi. Nel momento in cui l’impresa procede alla distribuzione della riserva di rivalutazione, il saldo distribuito, aumentato della correlata imposta sostitutiva, concorre a formare la base imponibile della società, alla quale viene riconosciuto un credito d’imposta pari alla corrispondente imposta sostitutiva a suo tempo versata.

Quindi, nel caso di distribuzione ai soci, la “riserva di rivalutazione in sospensione d’imposta” è soggetta a tassazione in capo alla società ed ai soci. Il “saldo di rivalutazione non affrancato” – secondo la risposta ad interpello n. 316 del 24 luglio 2019 – è soggetto a tassazione se viene utilizzato a copertura del disavanzo da fusione non imputabile a beni o ad avviamento della società incorporata.

L’articolo 9, comma 2, del Dm 13 aprile 2001, n. 162, espressamente dispone che, nelle ipotesi indicate nell’articolo 13, comma 3, della legge 342/2000 (attribuzione del saldo attivo ai soci mediante riduzione della riserva di rivalutazione, ovvero mediante riduzione del capitale sociale precedentemente aumentato gratuitamente mediante girocontazione della riserva di rivalutazione), «il saldo aumentato dell’imposta sostitutiva concorre a formare la base imponibile della società o dell’ente ai soli fini delle imposte sul reddito», quindi, non anche ai fini Irap che non è un’imposta sui redditi.

Non dà invece luogo a materia imponibile la riduzione della riserva di rivalutazione per scopi diversi dall’attribuzione ai soci del saldo di rivalutazione, come può essere la riduzione della riserva per la copertura di perdite, ovvero per l’aumento gratuito del capitale sociale.

La rivalutazione solo civilistica comporta, invece, l’indeducibilità permanente dei maggiori ammortamenti stanziati sui beni rivalutati e, in caso di cessione, l’emersione di plusvalenze fiscali più elevate di quelle contabili. Ciò comporta la necessità di stanziare le imposte differite passive sul maggior valore iscritto, le quali andranno contabilizzate (al pari della sostitutiva per chi opta per il riconoscimento fiscale) a riduzione della riserva di rivalutazione.

Il saldo attivo della rivalutazione, qualora il contribuente iscriva in bilancio il maggior valore sui beni senza optare per il riconoscimento fiscale (e quindi senza versare l’imposta sostitutiva del 3%) dello stesso, non è in sospensione d’imposta, ferma restando la necessità di imputarlo al capitale o accantonarlo in una speciale riserva con esclusione di ogni diversa utilizzazione. La riserva da rivalutazione senza sostitutiva, cioè, è una ordinaria riserva di utili.  che in caso di distribuzione viene tassata sul socio come dividendo (società di capitali), ma non è imponibile sulla società. Ne deriva che tale “riserva di rivalutazione” non è affrancabile mediante il versamento dell’imposta sostitutiva del 10%. In caso di utilizzo della “riserva di rivalutazione” non affrancata a copertura di perdite di esercizio, la società non può far luogo a distribuzione di utili fino a quando non venga reintegrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’Assemblea straordinaria, senza l’osservanza delle disposizioni dei commi secondo e terzo dell’art. 2445 c.c. (art. 13, comma 2, Legge 21 novembre 2000, n. 342).

In caso di rivalutazione senza riconoscimento fiscale dei maggiori valori, sorge una differenza temporanea. Occorre, in questo caso, rilevare le imposte differite passive sui maggiori valori iscritti in bilancio, in base all’aliquota ordinaria prevedibile, a diretta riduzione della riserva iscritta nel patrimonio netto. Negli esercizi successivi, le imposte differite sono riversate a conto economico coerentemente con gli ammortamenti effettuati, cessioni o riduzioni per perdita di valore.

Il comma 3 prevede la possibilità di affrancare tale saldo attivo applicando un’imposta sostitutiva del 10% da versarsi con le stesse modalità indicate nel comma 6 per l’imposta sostitutiva del 3%. In contabilità la scelta di riconoscere fiscalmente i maggiori valori si riflette iscrivendo al posto del fondo imposte differite un debito per imposta sostitutiva pari al 3% della rivalutazione.

Il saldo attivo della rivalutazione può essere affrancato, in tutto o in parte, con l’applicazione in capo alla società di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali, nella misura del 10%, da versare in tre rate.

La scelta di operare l’affrancamento può essere fatta fra la data di approvazione del bilancio relativo all’esercizio successivo a quello incorso al 31 dicembre 2019 e il termine di presentazione della relativa dichiarazione dei redditi. L’esercizio dell’opzione per l’affrancamento le libera dall’obbligo stesso della costituzione in bilancio della riserva in sospensione (Assonime, circolare 23 del 2009, par. 3.5).

L’imposta sostitutiva sull’affrancamento non è deducibile e può essere imputata, in tutto o in parte, alle riserve iscritte in bilancio. Nel caso di imputazione al conto economico, l’esercizio di imputazione è quello in cui vene presentata la dichiarazione in cui è operato l’affrancamento (Assonime, circ. 23/2009, par. 2.11 e 3.5).

Applicando la circolare 33/E del 2005, le riserve sono distribuibili in regime ordinario (come riserve di utili) dall’inizio dell’esercizio nel quale viene operato l’affrancamento (cioè dall’inizio del secondo esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019).

La distribuzione dopo l’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione non consente di fruire del credito d’imposta pari all’imposta sostitutiva assolta al momento della rivalutazione (art. 1, c. 475, legge 311/2004).

L’affrancamento rende disponibile per la distribuzione il saldo senza conseguenze impositive sulla società. In pratica, con il pagamento di tale imposta sostitutiva si ha l’effetto che il saldo attivo non è più da considerarsi in sospensione d’imposta e quindi, la sua distribuzione ai soci non comporta l’emergere di materia imponibile in capo alla società.

Sull’ammontare del “saldo di rivalutazione” (o riserva di rivalutazione), la dottrina discute su due modalità di calcolo, sostenute dai seguenti Organi:

1) Agenzia delle entrate;

2) Giurisprudenza di cassazione.

L’Agenzia delle entrate  ha da sempre sostenuto che l’ammontare del “saldo di rivalutazione” su cui calcolare l’imposta sostitutiva del 10% è costituito dall’intero importo della rivalutazione, senza tener conto che l’ammontare dell’imposta sostitutiva del 10% sul maggior valore dei beni viene iscritto a diretta riduzione della riserva di rivalutazione

Nello stato patrimoniale della società, la riserva di rivalutazione risulta iscritta al netto dell’ammontare di imposta sostitutiva relativa al maggior valore dei beni.

La giurisprudenza di cassazione  invece, è dell’avviso che l’affrancamento della “riserva di rivalutazione” debba essere effettuato sull’ammontare iscritto in bilancio (es.: 970), al netto dell’imposta sostitutiva pagata per la rivalutazione.

Il saldo attivo di rivalutazione “affrancato” è liberamente distribuibile ai soci e non concorre, pertanto, a formare il reddito imponibile della società che ha effettuato la distribuzione.

Poiché le riserve di rivalutazione, una volta affrancate, confluiscono tra le riserve di utili, in caso di distribuzione, il socio deve assoggettare a tassazione l’importo percepito secondo le regole ordinariamente previste per la tassazione dei dividendi.

Si ricorda che l’affrancamento del “saldo attivo di rivalutazione” non è conveniente se tale “saldo” venisse utilizzato per la copertura delle perdite dell’esercizio 2020 o di altri esercizi.

Qualora la rivalutazione sia in parte “fiscale” e in parte “solo civile”, la riserva andrà scomposta tra quella in sospensione (corrispondente alla rivalutazione fiscale), che è possibile affrancare pagando il 10%, e quella equiparata a riserva di utili.

Come in passato, viene invece previsto un differimento temporale della efficacia fiscale in caso di cessione dei beni rivalutati. Se l’alienazione (o in genere gli atti dispositivi come assegnazione ai soci e destinazione a finalità estranee all’impresa) è effettuata entro il 31 dicembre 2023, la rivalutazione (fiscale) non ha effetto.

  1. Rilevazioni contabili e metodi di rivalutazione

Per effettuare la rivalutazione è necessario che i beni e le partecipazioni siano iscritti sia nel bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2019, sia nel bilancio relativo all’esercizio in cui viene effettuata la rivalutazione (31 dicembre 2020).

La rivalutazione può essere effettuata distintamente per ciascun bene e deve essere annotata nel relativo inventario e nella nota integrativa. Pare inoltre necessaria la registrazione nell’ambito del libro beni ammortizzabili ai fini della determinazione e della deduzione dei beni oggetto di rivalutazione.

valori iscritti in bilancio e in inventario a seguito della rivalutazione non possono in nessun caso superare i valori effettivamente attribuibili ai beni con riguardo alla loro consistenza, alla loro capacità produttiva, all’effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa, nonché ai valori correnti e alle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri.

Gli amministratori e il collegio sindacale devono indicare e motivare nelle loro relazioni i criteri seguiti nella rivalutazione di beni e attestare che la rivalutazione non eccede il limite di valore corrente dei beni e delle partecipazioni.

Gli amministratori devono illustrare nella Relazione sulla gestione le cause che hanno concorso a produrre le perdite di gestione, nonché i provvedimenti che sono stati realizzati per trasformare nei successivi esercizi (es.: 2021-2022) le “perdite” in “utili” di bilancio.

Per rafforzare la causa che le perdite d’esercizio sono dovute alla “Pandemia COVID-19”, gli amministratori devono redigere un “piano economico” relativo agli esercizi futuri ed un “piano finanziario” sulla sostenibilità dei mezzi finanziari a disposizione della società.

Nell’inventario relativo all’esercizio in cui la rivalutazione dei beni e delle partecipazioni viene eseguita deve essere indicato anche il prezzo di costo con le eventuali rivalutazioni eseguite, in conformità a precedenti leggi di rivalutazione dei beni rivalutati.

metodi di rivalutazione previsti dalle numerose leggi di rivalutazione possono così elencarsi

  • rivalutazione del solo costo storico;
  • riduzione del fondo di ammortamento;
  • rivalutazione del costo storico e del relativo fondo di ammortamento.

L’adozione di un metodo piuttosto che di un altro determina differenti conseguenze sia nell’ambito fiscale, sia in quello civilistico.

Nella scelta della modalità, occorre tenere conto che la rivalutazione non modifica la stimata vita utile del bene; questa sarà oggetto, secondo quanto già previsto dall’Oic 16, paragrafo 70, di un processo di stima che potrebbe rideterminare il piano di ammortamento per avvenuti mutamenti nelle condizioni originarie.

Sebbene il Documento interpretativo Oic 5 e la bozza di Documento interpretativo Oic 7 non lo prevedano espressamente, si ritiene che tali metodi possano essere anche utilizzati in combinazione fra loro, per esempio dapprima riducendo il fondo di ammortamento e per la rivalutazione residua incrementando il costo.

Così, ad esempio, la rivalutazione proporzionale del valore lordo dei beni e del relativo fondo di ammortamento (ipotesi sub 3) consente di ammortizzare il bene secondo il piano di ammortamento originario. Si determina il coefficiente di rivalutazione, calcolato come il rapporto tra il valore della “rivalutazione netta” e il valore netto contabile del bene oggetto dell’operazione. Attraverso il coefficiente è dunque possibile calcolare l’aumento percentuale da attribuirsi al valore storico e al fondo ammortamento, di modo che la differenza tra i due sia pari al valore netto contabile rivalutato. Non può essere utilizzata per i beni interamente ammortizzati e può aumentare significativamente il valore contabile di quei cespiti quasi completamente ammortizzati. Nel caso di beni già ammortizzati in misura significativa, tuttavia, questa tecnica comporta la contabilizzazione dei beni ad un valore molto elevato, il che può avere effetti distorsivi (si pensi, ad esempio, alla disciplina relativa alle società di comodo).

Per contro, la rivalutazione del solo valore lordo (ipotesi sub 1) può determinare sia il mantenimento, sia il prolungamento della durata del periodo di ammortamento. Il costo storico rivalutato, sottratto del relativo fondo rimasto immutato determina un valore netto contabile superiore al precedente per un valore pari alla rivalutazione stessa. In contropartita si iscrive il fondo imposte differite, da stornarsi anno per anno con i maggiori ammortamenti non fiscalmente riconosciuti, e il saldo attivo di rivalutazione (Patrimonio Netto) pari alla differenza tra il maggior valore attribuito al bene e il relativo fondo imposte differite.

La rivalutazione operata attraverso la riduzione del fondo di ammortamento (ipotesi sub 2) determina un allungamento del predetto periodo di ammortamento. Questo metodo contabile è particolarmente adatto per quei beni la cui vita utile è stata sottostimata; la quota di ammortamento calcolata sul valore storico rimane immutata causando un allungamento del periodo di ammortamento. Questo metodo, che non può essere adottato quando il valore corrente del bene eccede il suo costo storico (tipico il caso degli immobili il cui acquisto risale nel tempo o dei beni riscattati da un leasing), comporta, mantenendo invariato il coefficiente di ammortamento, un allungamento del residuo periodo di ammortamento ancora più marcato di quanto avviene nell’ipotesi sub 1.

È possibile effettuare la rivalutazione anche sulla base di un importo intermedio tra il valore economico del bene (limite massimo) e quello storico (al netto del fondo di ammortamento dopo lo stanziamento della quota ordinaria dell’esercizio 2020) risultante al 31 dicembre 2020. I criteri di valorizzazione dei beni possono essere differenziati per ogni singolo elemento attivo, non essendo più operante, neppure a questi fini, il vincolo delle categorie omogenee.

Resta inteso che la rivalutazione effettuata secondo le modalità sub 1) e 3) non potrà mai portare il costo rivalutato del bene a un valore superiore a quello di sostituzione. Per “valore di sostituzione” si intende il costo di acquisto di un bene nuovo della medesima tipologia, oppure il valore attuale del bene incrementato dei costi di ripristino della sua originaria funzionalità.

Va sottolineato:

  • che l’opzione per il prolungamento della vita utile integra una fattispecie di cambiamento di stima, che deve essere giustificato e illustrato in base all’articolo 2426, numero 2, del codice civile e al principio contabile Oic 29;
  • che, in caso di periodo di ammortamento immutato con variazione però dei coefficienti di ammortamento, in base all’articolo 2426, numero 2, è necessario specifica motivazione in nota integrativa.

Qualunque sia il metodo adottato, il limite massimo della rivalutazione, come stabilito all’articolo 11 della legge 342/2000, è rappresentato dal valore economico del bene.

In particolare, il citato articolo 11 dispone che i valori iscritti in bilancio a seguito della rivalutazione non devono in alcun caso superare i valori effettivamente attribuibili ai beni in base al loro “valore corrente“, determinato in base alle quotazioni rilevate nei mercati regolamentati, o al “valore interno” del bene. Tale ultimo valore è determinato sulla base della:

› consistenza;

› capacità produttiva;

› effettiva possibilità economica di utilizzazione del bene nell’impresa.

Come precisato nella medesima circolare 18/E/2006, deve ritenersi consentita una rivalutazione che si attesti a un livello intermedio compreso tra il valore economico del bene e quello di libro risultante alla chiusura dell’esercizio di riferimento, a condizione tuttavia che, come previsto dall’articolo 4, comma 8, del Dm 162/2001, sia adottato un criterio uniforme per tutti i beni appartenenti alla medesima categoria omogenea (anche se diverso da quello adottato per la rivalutazione di beni relativi ad altre categorie).

  1. Disposizione antielusiva

È introdotta una disposizione “antielusiva” nel caso in cui i beni oggetto della rivalutazione siano oggetto di specifiche operazioni prima del riconoscimento giuridico degli effetti fiscali.

La norma specifica che nel caso di cessione a titolo oneroso, di assegnazione al socio di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore dei beni rivalutati in data anteriore a quella di inizio del quarto esercizio successivo a quello nel cui bilancio la rivalutazione è stata eseguita, ai fini della determinazione delle plusvalenze o minusvalenze si ha riguardo al costo del bene prima della rivalutazione.

 

  1. I documenti che provano il valore corretto

La norma non richiede particolari formalismi: al contrario delle rivalutazioni in tema di terreni e partecipazioni non è ad esempio richiesto che i maggiori valori siano attestati da una perizia di stima giurata.

Tuttavia, proprio l’elevato vantaggio fiscale dell’operazione induce a procedere con cautela nell’individuare i maggiori valori oggetto di rivalutazione per evitare possibili contestazioni dell’amministrazione fiscale senza dimenticare le problematiche civilistiche, in particolare per le società di capitali, anche alla luce dei più stringenti obblighi in capo ad amministratori ed organo di controllo introdotti con il nuovo Codice della crisi di impresa.

Occorrerà tenere presenti:

  • i limiti individuati dall’articolo 11, comma 2, della legge 342/2000 in base al quale i valori rivalutati non possono superare i valori attribuibili ai beni con riguardo alla loro consistenza, alla loro capacità produttiva, all’effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa, nonché ai valori correnti e alle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri;
  • quanto precisato dal Dm 162/2001, secondo cui «il valore netto del bene risultante dal bilancio nel quale la rivalutazione è eseguita, aumentato della maggiore quota di ammortamento derivante dal valore rivalutato, non può essere superiore al valore realizzabile o fondatamente attribuito».

Dal punto di vista dei principi di redazione del bilancio occorrerà riferirsi ai principi Oic 16 (§ 74 eseguenti) e Oic 24 (da § 79) che, in tema di immobilizzazioni materiali e immateriali, prevedono che la rivalutazione – possibile soltanto nei casi consentiti dalla legge – debba essere improntata al principio generale di rappresentazione veritiera e corretta del bilancio con individuazione di un valore massimo pari al valore recuperabile dall’immobilizzazione stessa.

Nel caso emerga negli esercizi successivi che il valore rivalutato eccede il valore recuperabile occorrerà procedere a svalutazione.

Il valore recuperabile di una immobilizzazione è pari, come precisato dagli stessi Oic, al maggiore tra il valore d’uso e il valore equo (“fair value”) al netto dei costi di vendita. Il dettato normativo e i principi contabili si scontrano inevitabilmente con la necessità di giustificare, anche documentalmente, la correttezza della rivalutazione operata sia da un punto di vista fiscale che civilistico.

Per quanto attiene agli aspetti formali è lo stesso articolo 110, comma 2, che richiede di annotare la rivalutazione in inventario e nota integrativa; per le imprese in contabilità semplificata, l’articolo 15 della legge 342/2000 ne richiede un apposito prospetto da cui risulti costo e rivalutazione compiuta.

 

Oltre a questi aspetti formali sarà necessario acquisire documentazione che possa provare i maggiori valori:

  • in alcuni casi sarà possibile fare riferimento ai listini prezzi (ad esempio per i beni usati più commercializzati come i veicoli);
  • in alternativa, utili potrebbero risultare offerte da parte di operatori del settore per l’acquisto dei beni;
  • da valutare il reperimento di prezzi di vendita, anche tramite il canale internet, di beni identici o quantomeno simili.

Va detto, peraltro, che al di là di beni altamente commercializzati la strada più tutelante resta quella della perizia, che si rende di fatto necessaria sia in presenza di valori rilevanti (ad esempio, immobili) sia per l’unicità di alcuni beni (macchinari specifici, marchi, brevetti…) da valutare in base ai flussi di cassa attesi o alla capacità di ammortamento.

  1. Affrancamento dei disallineamenti

Il rialign ha effetto ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP ed è autonomo rispetto alla rivalutazione. I due istituti si possono, però, anche utilizzare congiuntamente: in tal caso il rialign comporta il riconoscimento fiscale del maggior valore del bene risultante dal bilancio e oltre tale importo il maggiore valore è riconosciuto, entro il limite del valore economico, mediante la rivalutazione, ai fini sia civilistici che fiscali.

L’art. 110 del D.L. n. 104/2020, con richiamo all’art. 14 della Legge n. 342/2000, riapre i termini per l’affrancamento dei disallineamenti tra valori civili e valori fiscali presenti in bilancio al 31 dicembre 2019 e ancora in quello al 31 dicembre 2020 per qualsiasi causa e riferibili agli stessi beni potenzialmente suscettibili di rivalutazione. Ad esempio, disallineamenti da operazioni straordinarie o da rivalutazioni non rilevanti fiscalmente come quella sugli immobili prevista dal D.L. n. 185/2008.

A differenza di quanto avviene nel caso in cui si intenda effettuare la rivalutazione di cui all’art. 110 del D.L. n. 104/2020, per il rialign oltre a verificare la presenza dei beni, bisogna soffermarsi anche sul disalign dei valori.

Due le possibili fattispecie che si possono prospettare:

  • l’iscrizione dei maggiori valori è avvenuta nel bilancio 2019: in tal caso l’importo da assoggettare a imposta sostitutiva è il differenziale di valore esistente alla data del 31 dicembre 2020, e tutto è di facile applicazione;
  • nel bilancio 2019 sono presenti i beni ma l’iscrizione del maggior valore civilistico è avvenuta nel corso del 2020: in questa ipotesi il rialign non è possibile poiché a poter essere allineati sono i maggiori valori civili rispetto a quelli fiscali iscritti nel bilancio in corso al 31 dicembre 2019.

A differenza del passato per effettuare il rialign dei valori non è necessario procedere per intere categorie omogenee, essendo, infatti, consentito individuare singolarmente gli asset interessati, per cui il maggior valore da riallineare complessivamente può essere opportunamente misurato e adeguato anche guardando alla “capienza” delle riserve effettivamente a disposizione

Il rialign opererà con la stessa imposta sostitutiva del 3% e la stessa decorrenza temporale della rivalutazione (2021 per ammortamenti; 2024 per le cessioni).

Il rialign richiede che venga vincolata una apposita riserva (prelevata da quelle già esistenti) a cui si applica il regime di sospensione di imposta. In caso di incapienza o di assenza di riserve è possibile rendere indisponibile una quota del capitale sociale, in quanto l’imputazione a capitale della riserva non fa venir meno la sospensione d’imposta.

A differenza della rivalutazione, il rialign deve essere effettuato per l’intero differenziale esistente tra valore civile e valore fiscale (non è cioè consentito un rialign intermedio). Inoltre, è consentito avvalersene anche solo per taluni beni senza dunque il rispetto del vincolo delle categorie omogenee.

Il rialign può essere applicato anche dalle imprese che adottano i principi contabili internazionali nel bilancio d’esercizio e può estendersi anche alle partecipazioni immobilizzate in società diverse da quelle controllate o collegate.

Il saldo attivo della rivalutazione, che assume natura di riserva in sospensione d’imposta, può essere affrancato in tutto o in parte tramite il pagamento di un’ulteriore imposta sostitutiva del 10%.

Non è consentito un rialign parziale dei valori, per cui nel caso vi sia capitale sociale incapiente e insufficienza di riserve disponibili, ciò inibisce il rialign, che riguarda l’intera differenza tra valore fiscale e contabile del bene. Sul tema è utile far riferimento a quanto già detto in passato dall’Agenzia delle entrate nei suoi documenti di prassi (cfr. Agenzia delle entrate circolare n. 18/E/2006). L’accantonamento in bilancio dell’importo corrispondente ai maggiori valori deve essere effettuato al netto dell’imposta sostitutiva ed in caso di incapienza di riserve utilizzabili può essere resa disponibile una corrispondente quota del capitale sociale.

Il rialign, in quanto finalizzato esclusivamente al riconoscimento fiscale di valori già espressi in bilancio, non comporta incrementi delle poste del netto patrimoniale dell’impresa e, come evidenziato dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 13/E/2014, non determina, quindi, l’esigenza di “specifici, immediati interventi in sede di approvazione del bilancio medesimo. Ciò trova riscontro anche nella previsione dell’art. 10 del Decreto ministeriale n. 162 del 2001 secondo cui il riconoscimento fiscale dei maggiori valori va richiesto nella dichiarazione dei redditi”.

Nell’art. 10 del D.M. 13 aprile 2001, n. 162 sono state precisate le modalità per avvalersi del rialign.

Aggiornando le previsioni contenute in tale decreto alla normativa attuale si evince che lo stesso deve essere richiesto nella dichiarazione dei redditi relativa al primo esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019.

Anche gli effetti del rialign coincidono con quelli della rivalutazione. I maggiori ammortamenti fiscali possono essere già dedotti dal 2021, così come i maggiori valori rilevanti ai fini della determinazione del plafond del 5% per la deducibilità delle spese di manutenzione.

Il riconoscimento dei maggiori valori, ai fini della determinazione delle plus/minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni, non è, invece, immediato ma decorre dal terzo esercizio successivo a quello in relazione al quale è eseguito il rialign (cioè a partire dal 2024), in quanto si applicano le disposizioni previste per la rivalutazione dei beni.

Si ricorda che, invece, per le imprese che operano nel settore alberghiero e termale ammesse ad effettuare la rivalutazione gratuita di cui all’art. 6-bis del D.L. n. 23/2020 anche il rialign può essere effettuato gratuitamente. In tal caso, inoltre, gli effetti fiscali sono riconosciuti fin dall’anno di effettuazione del rialign (2020 o 2021) e la riserva in sospensione d’imposta può anch’essa essere affrancata con il pagamento dell’imposta sostitutiva del 10%.

 

TABELLA 1 – PRINCIPALI FONTI NORMATIVE, REGOLAMENTARI E DI PRASSI AI FINI DELLA RIVALUTAZIONE

– Articolo 1, commi 702-704, della legge 160/2019;
– articolo 14 della legge 342/2000;
– articolo 10 del Dm 162/2001;
– articolo 5 del Dm 86/2002;
– circolare ministeriale 207/E del 16 novembre 2000;
– circolare ministeriale 57/E/2002;
– circolare ministeriale 18/E del 13 giugno 2006;
– circolare ministeriale 11/E/2009;
– circolare ministeriale 13/E del 4 giugno 2014;
– circolare ministeriale 14/E del 27 aprile 2017.

 

Normativa di riferimento bibliografica:

– L. 28/12/2001, n. 448, art. 7

– D.L. 24/09/2002, n. 209, art. 4, co. 3

– D.L. 24/12/2002, n. 282, art. 2, co. 2

– D.L. 30/09/2003, n. 269, art. 39

– D.L. 30/12/2004, n. 311, art. 1, co. 376

– D.L. 30/09/2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, co. 4

– L. 24/12/2007, n. 244, art. 1, co. 91

– D.P.C.M. 30/06/2008

– D.L. 03/06/2008, n. 97, art. 4, co. 9-ter

– D.L. 23/12/2009, n. 191, art. 2, co. 229-230

– D.L. 13/05/2011, n. 70, art. 7

– L. 24/12/2012, n. 228, art. 1, co. 473- Circolare 24/10/2011, n. 47/E

– Legge n. 205/2017, art. 1, commi 997-999

– Legge n. 145/2018, art. 1, commi 1053-1054;

– commi 693 e 694, art. 1, Legge 160/2019

 

Codice tributo:

– 8055: Imposta sostitutiva delle imposte sui redditi per la rideterminazione dei valori di acquisto dipartecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati

[1] A titolo esemplificativo, se è eseguita una rivalutazione di 100 a fronte della quale è dovuta un’imposta sostitutiva di 3, la riserva di rivalutazione è iscritta in bilancio per 97 (100 – 3), mentre tra i debiti tributari è iscritto l’importo di 3 (distinguendolo, in caso di rateizzazione del pagamento, tra gli importi esigibili entro e oltre l’esercizio successivo).

[2] Con riferimento ai soggetti in contabilità semplificata, al punto 4.2 della circolare 26 gennaio 2001, n. 5/E, è stato affermato che agli stessi non è applicabile l’ipotesi della tassabilità della distribuzione del saldo attivo di rivalutazione. Per tali soggetti, pertanto, l’imposta sostitutiva risulta essere applicata a titolo definitivo (nello stesso senso anche il punto 1.5 della circolare 18 giugno 2001, n. 57/E, e il punto 1.3 della circolare 13 giugno 2006, n. 18/E). L’interpretazione di cui sopra ha peraltro trovato conferma all’articolo 9, comma 2, del Dm 13 aprile 2001, n. 162.

[3] In tal senso è anche l’esemplificazione numerica prevista nella Risposta interpello 332/2019.

[4] Circolare dell’agenzia delle Entrate 11/E del 19 marzo 2009. Ne consegue che in caso di distribuzione ai soci non emerge, in capo alla società, materia imponibile.

[5] Circolare 13 giugno 2006, n. 18/E e circolare 27 aprile 2017, n. 14/E.

[6] Si riporta l’art. 12, comma 2, Legge 21 novembre 2000, n. 342, nella parte relativa all’imputazione dell’imposta sostitutiva sul maggior valore dei beni: “L’imposta sostitutiva va computata in diminuzione del saldo attivo ed è indeducibile”.

[7] Sulla determinazione della base imponibile su cui calcolare l’imposta sostituiva per l’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione, nella sentenza. della Corte di Cassazione, Sez. V civile, 10 dicembre 2019, n. 32204, è stato affermato che: «… secondo la ricostruzione esegetica della Corte, dovendo il saldo attivo di rivalutazione trovare collocazione in bilancio “al netto” e non “al lordo” dell’imposta sostitutiva pagata per la rivalutazione medesima, ed essendo costituita dal saldo attivo di rivalutazione così descritto la base imponibile per la diversa imposta sostitutiva di affrancamento, anche tale imposta sostitutiva di affrancamento deve essere calcolata al netto della precedente imposta sostitutiva di rivalutazione». In senso conforme anche la sentenza della Corte di Cassazione Sez. V Civile, n. 19772 del 22 settembre 2020 e l’ordinanza n. 9509/2018 della Suprema Corte.

[8] Il D.M. 13 aprile 2001, n. 162, all’art. 5 prevede i seguenti metodi di rivalutazione: “per i beni ammortizzabili (…) la rivalutazione, fermo restando il rispetto dei principi civilistici di redazione del bilancio, può essere eseguita, rivalutando sia i costi storici sia i fondi di ammortamento in misura tale da mantenere invariata la durata del processo di ammortamento e la misura dei coefficienti ovvero rivalutando soltanto i valori dell’attivo lordo o riducendo in tutto o in parte i fondi di ammortamento. (…) I criteri seguiti ai sensi del precedente periodo devono essere indicati nella nota integrativa al bilancio.”.

[9] Dal punto di vista contabile ed in linea generale, secondo il principio contabile Oic 16 per le immobilizzazioni materiali, ed analogamente secondo il principio contabile Oic 24 per quelle immateriali, la rivalutazione di un’immobilizzazione non può comunque avere l’effetto di modificare «la stimata residua vita utile del bene» oggetto di rivalutazione, dato che tale vita utile «prescinde dal valore economico del bene».

In base a questo principio quindi, la rivalutazione in sé considerata, non può avere come effetto l’allungamento del periodo originario di ammortamento. La medesima considerazione è ripresa al paragrafo 15 sia del Documento interpretativo Oic 5 sia della bozza di Documento interpretativo Oic 7.

La rivalutazione, tuttavia, ben può rappresentare un momento in cui aggiornare la stima della residua vita utile dei beni nei casi in cui si sia verificato un mutamento delle condizioni originarie di stima.

Premesso che le stime sono i procedimenti ed i metodi in base ai quali si perviene alla determinazione di un valore ragionevolmente attendibile di attività, i cambiamenti di stima sono solitamente una conseguenza delle ulteriori informazioni che il trascorrere del tempo consente di acquisire in merito a presupposti o fatti sui quali era fondata la stima originaria.

Un esempio di cambiamento di stima è proprio la modifica della residua vita utile di un cespite dovuta all’evolversi di eventi futuri rispetto al momento della valutazione iniziale.

Nei casi in cui sia ragionevole stimare che la residua vita utile del bene sia superiore al residuo periodo di ammortamento risultante dall’applicazione dei coefficienti ministeriali, allora sarà ben possibile applicare il secondo ovvero il terzo metodo di rivalutazione mantenendo invariata l’aliquota di ammortamento, in quanto il più lungo periodo di ammortamento che ne consegue risulta compatibile con la nuova stima della vita utile del cespite.

La modifica del piano di ammortamento costituisce un cambiamento di stime contabili, ai quali si applica il paragrafo 40 del principio contabile Oic 29 per quanto riguarda l’informativa in nota integrativa.

[10] In tal senso anche circolare Assonime 13/2001

[11] Per far sì che il residuo periodo di ammortamento non si allunghi è necessario applicare, dopo avere eseguito la rivalutazione, un coefficiente di ammortamento più elevato, dal che consegue, se tale nuovo coefficiente è superiore a quelli ministeriali, una parziale indeducibilità, nell’esercizio di imputazione, degli ammortamenti imputati a bilancio post rivalutazione (recuperabile con la tecnica delle variazioni in diminuzione a partire dal periodo d’imposta in cui si è esaurito l’ammortamento civilistico, trovando applicazione in questo caso il principio della previa imputazione).

[12] Tale metodo determina un allungamento del periodo di ammortamento del bene, se viene mantenuto inalterato il precedente coefficiente di ammortamento.

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