Contraddittorio preventivo, obblighi e limiti pre-riforma

La Cassazione conferma l’orientamento giurisprudenziale sulla disciplina dell’istituto antecedente alla riforma fiscale che ne ha generalizzato l’ambito applicativo

ROMA – Con l’ordinanza n. 24783/2025 dell’8 settembre 2025 la Corte di cassazione affronta con chiarezza il tema centrale dell’accertamento analitico-induttivo e la sua connessione con l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, fornendo indicazioni di rilievo sul tema.

La controversia origina dall’impugnazione di una serie di avvisi di accertamento emessi nei confronti di una società in accomandita semplice e dei soci della stessa, relativi all’anno d’imposta 2007, fondati su una ricostruzione analitico-induttiva dei redditi della società e dei suoi soci litisconsorti. La Commissione tributaria provinciale aveva rigettato i ricorsi dei contribuenti, mentre la Ctr, in sede di appello, aveva accolto la posizione dei contribuenti, annullando gli avvisi sulla base della mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione finanziaria.

La Corte di cassazione, su ricorso dell’Agenzia delle entrate, ribadisce che l’obbligo di contraddittorio preventivo sussiste esclusivamente nei casi in cui l’accertamento sia integralmente basato sugli studi di settore. Quando invece l’accertamento è fondato anche su ulteriori elementi – quali l’antieconomicità della gestione, risultati economici negativi per più annualità, assenza di altre fonti di reddito e reiterata incongruenza dei ricavi – l’obbligo non si applica.

L’ordinanza affronta in particolare il principio dell’autosufficienza dell’avviso di accertamento, e nel farlo afferma che l’Amministrazione Finanziaria ha proceduto in ossequio allo stesso in quanto: “l’accertamento in esame è stato avviato a seguito dalla persistenza di un comportamento antieconomico dei contribuenti che, nonostante i risultati negativi conseguiti per più anni d’imposta, hanno proseguito nella stessa attività di impresa; tale situazione era incompatibile con la capacità contributiva dei soci che, nonostante la mancanza di altre fonti di reddito, avevano apportato notevoli finanziamenti alla società”.

L’obbligo di instaurazione del contraddittorio prescritto dall’articolo 10 della legge 146/1998 sussiste, pertanto, solo nel caso di accertamento basato esclusivamente sugli studi di settore, non anche quando l’accertamento si fonda su altri elementi giustificativi.

Nel caso di specie gli studi di settore sono stati utilizzati solo al fine di ricostruire l’effettivo reddito della società contribuente, e non come esclusivo elemento fondante l’attività di accertamento che invece ha avuto natura analitico-induttiva plurifattoriale. Si può affermare, pertanto, che quando gli studi di settore vengono utilizzati come mero parametro che integra il quadro probatorio (qui quale supporto alla ricostruzione del reddito effettivo del contribuente) non sono soggetti all’obbligo del preventivo contraddittorio endoprocedimentale.

L’ordinanza pone infine l’accento sulla distinzione tra tributi armonizzati e non armonizzati: solo per i primi vige un obbligo generalizzato di contraddittorio, la cui violazione comporta invalidità dell’atto se il contribuente ha specificato le circostanze che avrebbero potuto incidere sull’accertamento (“prova di resistenza”), come previsto a più riprese dalle Sezioni unite della Cassazione, da ultimo con sentenza n. 21271/2025, e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue.

Nel caso de quo non si evince quali siano state le ragioni che il contribuente avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio, in grado di fare concludere in maniera diversa il procedimento accertativo”.

Tali conclusioni valgono chiaramente per la disciplina vigente anteriormente all’entrata in vigore dell’articolo 6-bis legge n. 212/2000, norma che ha previsto un generale obbligo di contraddittorio preventivo.

In conclusione, la pronuncia della Corte di cassazione evidenzia un principio di grande rilievo nell’ambito dell’accertamento tributario: gli studi di settore, pur costituendo uno strumento fondamentale di analisi e controllo, se utilizzati quale parametro integrativo e non quale fonte esclusiva su cui fondare l’accertamento analitico – induttivo, costituiscono un dato affiancabile ad altri utile a comporre il quadro probatorio e non un elemento di per se sufficiente a far sorgere un obbligo di contraddittorio preventivo.

Tutto ciò conferma un consolidato orientamento giurisprudenziale che delimita rigorosamente l’ambito di applicazione dell’obbligo di contraddittorio nella disciplina previgente.

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