Fallimenti, l’indisponibilità dei beni potrebbe impedire il sequestro cautelare

Rimessa alle Sezioni unite la questione relativa al rapporto fra il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta o per equivalente in materia di reati tributari e il fallimento

Roma – E’ efficace e opponibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta o per equivalente in materia di reati tributari, in relazione ai beni dell’imprenditore già dichiarato fallito, quindi assoggettati a un vincolo di indisponibilità, in epoca anteriore al provvedimento cautelare? L’ultima parola spetta alle Sezioni unite. È quanto ha stabilito la Cassazione penale con l’ordinanza n. 7633/2023.

“Se, in caso di fallimento dichiarato anteriormente alla adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo, emesso nel corso di un procedimento penale relativo alla commissione di reati tributari, avente ad oggetto beni attratti alla massa fallimentare, l’avvenuto spossessamento del debitore erariale, indagato o, comunque, soggetto inciso dal provvedimento cautelare, per effetto della apertura della procedura concorsuale operi o meno quale causa ostativa alla operatività del sequestro ai sensi dell’art. 12-bis, comma I , del dlgs n. 74 del 2000, secondo il quale la confisca e, conseguentemente il sequestro finalizzato ad essa, non opera nel caso di beni, pur costituenti il profitto o il prezzo del reato, se questi appartengono a persona estranea al reato”.

La questione di fondo che con l’ordinanza è stata rimessa alle Sezioni unite attiene all’efficacia ed opponibilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta o per equivalente in materia di reati tributari in relazione ai beni dell’imprenditore già dichiarato fallito, quindi assoggettati a un vincolo di indisponibilità, in epoca anteriore al provvedimento cautelare; nel caso di specie il sequestro aveva ad oggetto “quote del capitale sociale della società in nome collettivo e della porzione di un immobile … intestato al (socio) amministratore” illimitatamente responsabile.
Secondo l’articolo 317 del Dlgs n. 14/2019 (Codice della crisi, entrato in vigore il 15 luglio 2022) la procedura concorsuale è ostativa al solo sequestro preventivo di cui all’articolo 321, comma 1 codice di procedura penale (sequestro preventivo impeditivo) e non anche a quello finalizzato alla confisca diretta o per equivalente (articolo 321, comma 2 cpp) o al sequestro di prevenzione disciplinato dal Dlgs n. 159/2011.
In particolare, la sezione rimettente si interroga se quel vincolo di indisponibilità sui beni del fallito possa configurare quell’estraneità del bene ostativa al provvedimento ablatorio di cui all’articolo 12-bis Dlgs n. 74/2000.
Secondo un orientamento della III sezione penale, espresso nella sentenza n. 3575/2022, in continuità con vari precedenti, il sequestro preventivo prevale sempre sul diritto di credito rappresentato dalla curatela prevedendo l’articolo 12-bis Dlgs n. 74/2000, come unico limite normativo alla confisca, l’appartenenza del bene ad altra persona; cosa che non avverrebbe con l’apposizione del vincolo di indisponibilità nell’ambito della procedura concorsuale fino al momento della vendita fallimentare. Con la sentenza citata è stata ritenuta la prevalenza del vincolo penale non soltanto anteriore ma anche in pendenza di una procedura fallimentare su beni acquisiti alla procedura e nel caso di specie “somme in giacenza sui conti correnti intestati alla curatela”.

La Suprema corte ha ritenuto che il mero differimento dell’entrata in vigore del Codice della crisi non possa escludere un riferimento esegetico alle norme definitorie, quando non addirittura ricognitive di indirizzi giurisprudenziali, per un approdo interpretativo conforme alla disciplina vigente: “In buona sostanza, si tratta di utilizzare le norme “definitorie” contenute nel d.lgs. n. 14 del 2019 esclusivamente come tramiti interpretativi che consentono di convalidare un’interpretazione delle norme vigenti che già autonomamente sia in grado di supportare un determinato risultato esegetico.”
D’altro canto, sempre la III sezione con sentenza n. 26275/2022, in linea con altri precedenti, sconfessava il suddetto indirizzo ritenendo che lo spossessamento da parte della procedura valesse ad integrare quell’estraneità del bene ostativa al sequestro: “…in definitiva, che la peculiare natura dell’attivo fallimentare derivante da tale spossessamento è di ostacolo all’applicabilità dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, che individua, quale limite all’operatività della confisca, l’appartenenza dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato a terzi estranei al reato.

Nell’ambito del processo per cui è stata investita la Suprema corte nella sua massima composizione, la procura generale ha espresso parere favorevole all’accoglimento del ricorso presentato dalla curatela ravvisando prevalente l’interesse pubblicistico alla tutela del ceto creditorio che altrimenti risulterebbe frustrato con inaccettabili ricadute sul tessuto economico. Resta da vedere quale sarà il pensiero delle SSUU.

A seconda della soluzione che verrà data al quesito, sarà interessante valutare le sorti dell’istituto previsto al 2° comma dell’articolo 12-bis Dlgs n. 74/2000, secondo cui il pagamento del debito tributario ha attitudine a ridurre l’operatività della confisca. Il pagamento del debito tributario potrebbe consentire il dissequestro del bene a seguito del soddisfacimento prioritario, con risorse proprie del fallito o previa imputazione dei beni sotto sequestro, del credito erariale rispetto ad altri crediti con privilegio anteriore con l’effetto di godere di titolo di prelazione superiore proprio in ragione del provvedimento ablatorio.

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